15 novembre 2016

Da ribelle a indiano.


«Ho sbagliato per sbagliare, non perché lo dite voi.
E non mi pento proprio, sono in riserva ormai
Io ci credo in quel che voglio, e forse voglio farmi male
E non mi riconosco in quello che conviene».


Se Antonio Cassano fosse una canzone, non ci sono liriche che potrebbero descrivere la sua vita calcistica meglio di queste. A 34 anni, la sua carriera sembra ai titoli di coda ed è triste dirlo, visto che chiunque l’abbia visto nel suo prime potrà certamente condividere un concetto: Antonio Cassano è stato uno dei più grandi talenti prodotti dall’Italia nel dopo-guerra.

Almeno dal punto di vista tecnico, è difficile trovare una possibile controindicazione a questa visione. Il problema di Cassano è risieduto altrove, nell’incrollabile immagine (e per molto tempo essenza) che l’ha inquadrato come l’esempio paradigmatico del concetto di “genio e sregolatezza”. Un topos narrativo che l’Italia ama molto: altrimenti non avremmo avuto i Beccalossi negli anni ’80 e non si spiegherebbe perché i primi due gol di Balotelli a Nizza abbiano qualche rilevanza.

Ma Cassano è stato diverso: in direzione ostinata e contraria, fedele solo a sé stesso. Tuttavia, anche quest’orientamento ha subito delle evoluzioni in 17 anni di carriera: perché Cassano è comunque cambiato. Magari non in campo (o almeno non così tanto), dove gli piace continuare a vederla a modo suo, con qualche rara eccezione.

Non siamo i soli a porci qualche domanda da sliding doors.

Cassano sembra esser cambiato fuori. Rimane un testardo ai limiti dell’autolesionismo, uno che avrebbe potuto avere un’altra parabola con la metà delle follie combinate in carriera: non si è mai piegato a nulla, se non a una città sul mare che non ha mai smesso di amare. Oggi, però, Cassano sembra un indiano solo nella sua riserva prescelta, un deviato coerente nella sua logica, anarchico a ogni costo, ma con i suoi riferimenti.

Sembra passata una vita dal 2008, quando uscì il suo libro, scritto a quattro mani con il giornalista Pierluigi Pardo: «Se quel Bari-Inter non ci fosse stato, sarei diventato un rapinatore o uno scippatore, comunque un delinquente. Molte persone che conosco sono state arruolate dai clan. Quella partita e il mio talento mi hanno portato via dalla prospettiva di una vita di merda. Ero povero, ma tengo a precisare che nella mia vita non ho mai lavorato anche perché non so fare nulla. A oggi mi sono fatto 17 anni da disgraziato e 9 da miliardario me ne mancano ancora 8, prima di pareggiare».

Visto che il conto sembra ormai in pari (temporalmente e soprattutto economicamente), abbiamo scelto dieci gol per raccontare uno dei talenti più cristallini e controversi dell’intera storia del nostro calcio.


1. Bari-Inter 2-1, 18 dicembre 1999 – Serie A 1999/2000

Due dettagli vengono alla mente pensando a quella sera. Il primo è quello di Caressa, che in telecronaca ci racconta che «abbiamo visto due grandi gol». Già, perché oltre alla nascita di Cassano, ci sarebbe anche quella di Michael "Hugo" Enyinnaya, compagno di primavera in quel di Bari e autore di un’altra rete-monstre. Poteva essere il primo di tanti successi, invece sarà la one-hit wonder del nigeriano.

Il secondo riguarda la vittima designata del Millennium Bug del calcio italiano. A pochi giorni dall’inizio del nuovo millennio, il giovane numero 18 del Bari segna il suo primo gol da professionista – e che gol! – alla sua squadra del cuore, allenata in quel momento dall’allenatore che meno l’ha apprezzato e che forse ha incarnato di più quei valori di regolarità da cui Cassano è sempre fuggito.


Si intravedono già alcuni colpi, soprattutto il marchio di fabbrica, quel controllo magnetico che sfida le leggi della fisica (lo si nota anche qui e qui). Sembra quasi che Cassano abbia capito meglio degli altri l’andazzo «Chi ben comincia è a metà dell’opera». In questo tipo di gol, il suo stop gli fa guadagnare un tempo sull’avversario, che è già in ritardo quando Cassano è pronto a eseguire il tiro.

Tuttavia, il suo talento grezzo è da svezzare e l’apporto realizzativo è ancora basso (sei gol in un anno e mezzo). Soprattutto il Bari è in una situazione complicata e Cassano vive situazioni contrapposte nello stesso club: da una parte il rapporto padre-figlio con Fascetti, dall’altra la poca intesa con la presidenza Matarrese.

Nella seconda stagione con i Galletti, le ultime partite neanche le gioca perché è già della Roma. Nelle ultime dieci, il Bari ne perde nove e scende in B: l’unico punto è nell’ultima presenza di Cassano col Bari. Per altro, quest’ambiguità di rapporto è perdurata anche negli ultimi anni: persino da svincolato, Cassano non è mai tornato a Bari, nonostante gli applausi per lui al San Nicola non siano mai mancati.

2. Roma-Hellas Verona 3-2, 13 gennaio 2002 – Serie A 2001/02

L’arrivo nella Capitale di Cassano è un terremoto a crescita graduale. Roma accoglie un ragazzo pieno di eccessi, che dovrà inserirsi nella rigida disciplina di Fabio Capello dopo un investimento pesante da parte dei Sensi (50 miliardi più metà del cartellino di Gaetano D’Agostino). Il suo primo anno a Roma è di apprendimento: i giallorossi hanno appena vinto il terzo scudetto con il 3-4-1-2 e ci sono alcune pedine insostituibili.

Nonostante lo aspetti il primo anno di decadimento, non si può panchinare Batistuta dopo il contributo per lo Scudetto dell’anno precedente. Non si può rinunciare nemmeno a Marco Delvecchio, fondamentale per duttilità tattica e capacità di sacrificio. Per non parlare di Francesco Totti, che ormai è conosciuto anche a livello internazionale (5° nella classifica del Pallone d’Oro 2001: miglior risultato personale di sempre).

Così Cassano funge da dodicesimo uomo insieme a un gruppo ristretto di giocatori da alternare ai titolarissimi (Montella, Marcos Assunção, Lima) e si guadagna spazio lungo il corso della stagione. Continua a segnare poco, ma è normale: non è facile mettersi in mostra quando su 30 partite giocate, 23 sono da subentrante.


Il tutto nonostante Cassano inizi a diffondere la sua fama non propriamente benefica (per lui o per gli altri): litigi, comportamenti poco professionali o non conformi all’ambiente, azioni fuori dalle righe. Tutto si comprime in un’unica parola menzionata da Capello, che ha avuto persino il riconoscimento della Treccani: “cassanata s. f. (scherz. iron.) Gesto, comportamento, trovata, tipici del calciatore Antonio Cassano”.

Quando le tue azioni diventano un neologismo, in ogni caso, puoi dire di aver lasciato un segno. C’è anche un gradiente di queste cassanate da 1 a 10: il grado minimo è lasciare il cellulare acceso a tavola nonostante Capello ti abbia detto di non farlo. Un buon 8 sono le corna all’arbitro Rosetti nella finale di Coppa Italia un anno più tardi. Per il 10 – inteso come massima unione di autolesionismo e conseguenze dannose – ci sarà tempo.

3. Roma-Juventus, 1 dicembre 2002 – Serie A 2002/03

Quell’anno deve esser stato utile anche per sviluppare e coltivare la miglior partnership vista nel calcio italiano degli ultimi anni. Totti e Cassano non potrebbero esser più diversi dal punto di vista caratteriale, ma nessuno dei due ha mai negato di essersi divertito con l’altro sul campo. E l’apice di questo codice segreto tra i due, ma visibile a tutti, è il gol alla Juve in una fredda serata del 2002.


Non è calcio, ma telecinesi: è vero che Totti è sempre stato in grado di giocare con un tempo d’anticipo rispetto ai suoi avversari, ma è anche vero che Cassano è stato in grado di parlare la sua stessa lingua, nonostante doti diverse dal punto di vista fisico e tattico.

In diversi momenti della sua carriera, Cassano ha ribadito sempre come Totti sia stato il partner migliore. Il desiderio di giocarci insieme una volta arrivato a Roma, la stima tecnica e umana (Cassano ha vissuto da Totti per un periodo), poi un litigio dovuto alla mancanza di rispetto del giovane barese e infine una sorta di indifferenza perenne, nonostante la guasconeria di Cassano a ogni incontro tra i due.

I percorsi tecnici dei due si intersecano al momento giusto: Totti segna 55 gol tra il 2002 e il 2005, germogliando dentro di sé quelle doti da prima punta letale che poi Spalletti sfrutterà spostandolo nella posizione di falso nueve. Cassano, al contrario, è ancora mobile lungo tutto l’arco del campo: non si piazza ancora sul vertice alto a sinistra dell’area di rigore.

Capaci di giocare simultaneamente da prima e seconda punta, i due diventano una coppia esplosiva. E il gol alla Juve lo dimostra in pieno. Il 2002-03 è una stagione tremenda per la Roma (intrappolata tra equivoci tecnici e risultati altalenanti), ma per Cassano è il trampolino per responsabilità più importanti.

4. Polonia-Italia 3-1, 12 novembre 2003 – Amichevole a Varsavia

A 34 anni e dopo il suo primo Mondiale, possiamo dire che Cassano ha chiuso con la nazionale. Un rapporto mai facile, spesso pieno di ombre e contrasti che non l’hanno portato lontano. Ancora una volta, il rapporto con i rispettivi allenatori è stato fondamentale.

Cassano è in età da U-21 quando esordisce in nazionale maggiore, ma con Gentile le cose non vanno bene. E allora Trapattoni lo chiama per un’amichevole in Polonia: l’Italia perde 3-1, ma l’attaccante della Roma segna il suo primo gol all’esordio assoluto in nazionale. Ed è una gemma esemplificativa del suo repertorio.


Prima e soprattutto dopo quella rete, tanti atteggiamenti e qualche ostracismo hanno impedito a Cassano di fiorire in nazionale, nonostante a un certo punto il bacino di talento si sia incredibilmente ristretto. Del suo bilancio in azzurro (39 presenze e dieci gol), rimane il contributo importante in tre diversi Europei in cui ha avuto altrettanti allenatori (Trapattoni, Donadoni e Prandelli).

Ciò nonostante, il rimpianto Mondiale è rimasto fino al 2014, quando Cassano si è conquistato la convocazione alla sua prima Coppa del Mondo grazie alle magie con il Parma. Forse è stato anche poco sopportato dai suoi compagni di squadra, memori del passato e di alcune uscite mediatiche poco felici.

Nonostante tutte le smentite di rito, Cassano si è probabilmente sentito più malvoluto che amato dal suo paese. Troppo unico per essere capito, troppo bizzarro per esser compreso fino in fondo, troppo bizzoso per esser assecondato a certi livelli. Quel livello nel quale l’attitudine da “soldatino” – da lui tanto rigettata – sarebbe servita.


5. Roma-Juventus 4-0, 8 febbraio 2004 – Serie A 2003/04

Qualche mese più tardi, lo stesso avversario della stagione precedente certifica l’upgrade definitivo di Cassano da promessa a stella. O almeno così sembra. Non c’è dubbio che sia così dal punto di vista tecnico: lo si vede nella cavalcata della Roma fino alla fine del girone d’andata, quando la squadra di Capello domina il campionato prima di perdere lo scontro diretto con il Milan e deragliare per il resto della stagione.

In quella gara Cassano fa quel che vuole. L’intesa con Totti è ai massimi livelli nel 4-4-2 di Capello; lui è cresciuto ancora tecnicamente e fisicamente e la Juve nonostante Lippi non è in grado di tenere il passo delle due duellanti per il titolo. Cassano chiude la gara con un bilancio di un rigore guadagnato e una doppietta.

A colpire, però, è il gol del 4-0. Sembra una rete facilissima – smarcato, solo, con Buffon a rincorrerlo in porta – ma in realtà evidenzia un’altra dote di Cassano: il colpo di testa.


Un punto di forza che l’attaccante ha mostrato in diverse fasi della sua carriera, visto che Cassano ha segnato tanti gol di testa (anche a Madrid, a Genova e a Milano). E non è proprio facile colpire il pallone con quel poco angolo di torsione della testa, stando praticamente fermi sul cross di Mancini. Ci vuole talento anche per questo.


Poi Cassano ci dà la dimostrazione visiva di come “io sono più forte, ve lo faccio vedere e me ne frego”: il 18 giallorosso rompe la bandierina, si prende un giallo gratuito e ha una breve discussione con Collina. Ma soprattutto il 2003-04 è la miglior stagione in A di Cassano dal punto di vista realizzativo (14 gol).

6. Levante-Real Madrid 1-4, 10 settembre 2006 – La Liga 2006/07

Dopo aver messo la firma sul gol più importante di un travagliato 2004/05 (quello che ha salvato la Roma a Bergamo da guai peggiori), Cassano sente la necessità di andar via. La sente anche la società, incapace di gestirlo da quando Capello è andato via. Al suo posto si sono succeduti Rudi Völler, Delneri, Bruno Conti e Spalletti, ma nessuno è riuscito a contenere il suo profilo sempre più ingombrante.

L’accordo con la Roma scade nel giugno del 2006 e la società non vuol offrire una cifra più alta rispetto ai 3,2 milioni già pattuiti. In più, la società decide di togliere a Cassano i gradi di vice-capitano: una scelta che lo fa infuriare e che cancella qualunque possibilità di rinnovo, nonostante nel settembre del 2005 ci fosse stato qualche segnale di speranza.

Così arriva il Real Madrid, che lo acquista per appena cinque milioni di euro. Ci sarebbero Inter e Juventus, ma come ha detto Cassano in un’intervista ad AS qualche mese fa: «Con tutti quei campioni, come potevo dire di no? La verità è che a Madrid si possono seguire due vie: si può stare con la famiglia ed esser professionali, ma se sei single non puoi essere concentrato. Con un contratto di cinque anni alle spalle, sono stato uno stupido».


Forse aveva conquistato il Real già nelle occasioni precedenti in cui la Roma ha affrontato i Blancos in Champions (ben sei nel giro di quattro anni), come quando Cassano segna al Bernabeu portando la Roma momentaneamente sul 2-0. E l’avventura inizia anche bene: gol al Betis in coppa dopo esser entrato da tre minuti, altra rete nel derby di Madrid. Però l’allenatore Juan Ramón López Caro vorrebbe vederlo in una condizione migliore, non quella parodiata da Carlos Latre, comico spagnolo.

Lo chiamano El Gordito (“Il grassottello”, per distanziarlo da Ronaldo, anch’egli in condizioni non eccellenti), ma l’arrivo di Capello nell’estate del 2006 sembra essere una benedizione. Nonostante gli arrivi di van Nistelrooy e del giovane Higuain, Cassano trova spazio all’inizio, segnando anche un gol contro il Levante.


A fine ottobre, il Real lo mette fuori rosa: qualcuno pensa per l’imitazione di Capello da parte dell’attaccante, ma in realtà Cassano ha confessato come 45’ di riscaldamento a Jerez lo abbiano portato al litigio con Capello («Ma aveva ragione lui»). Don Fabio vincerà la Liga e Cassano decide di lasciare Madrid. Vuole tornare sul mare e c’è qualcuno che lo aspetta.

7. Palermo-Samp 0-2, 11 maggio 2008 – Serie A 2007/08

La stagione 2007-08 di Antonio Cassano è la migliore della sua intera carriera per topos narrativo (quella della rinascita: le opere prime sono solitamente le migliori…) e il combinato di gol e assist (9+6, ma se analizzassimo i passaggi chiave e i dribbling riusciti qualunque contenitore statistico impazzirebbe). Un’annata notevole non tanto nelle cifre, bensì pensando a dove Cassano era rimasto appena un anno prima.

La punizione messa nel sette al Barbera – manco fossimo in modalità allenamento-sfida a Pro Evolution Soccer – mette in evidenza un altro fondamentale straordinario nel bagaglio tecnico di Cassano. Mi sono sempre chiesto perché al massimo del suo prime i creatori di videogiochi non gli avessero dato un buon 95 nella precisione del tiro.

Più che la precisione, ha sempre stupito la sua capacità di controllare la potenza da dosare nel pallone. Cassano è capace di piazzare col piatto con fare da giocatore pro di biliardo o sparare una bomba da 25-30 metri. Ha sempre preferito la prima perché è l’esecuzione che più confà il suo gioco, ma entrambe le strade sono sempre state percorribili.


Alla Samp ha trovato il suo eden: il 2008-09 è la certificazione definitiva. 15 gol e 17 assist in una stagione che per il Doria sarà più di rimpianti che di gioie. Le intemperanze non mancano come al solito, ma a Genova le maglie sono più larghe: si è capito che con Cassano si può andare lontano.

8. Samp-Palermo 1-1, 6 gennaio 2010 – Serie A 2009/10

La Lanterna è una purificazione: l’ambiente di Genova – che ha qualcosa della sua Bari, oltre al mare – mette Cassano al riparo da molte distrazioni. Certo, «si può togliere il ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto dal ragazzo» e quindi non tutto fila tranquillo. Ma Cassano ha piena libertà da Mazzarri di stazionare sull’area centro-sinistra del campo: da lì arrivano tanti assist e diversi gol, con due stagioni consecutive in doppia cifra in A (10+12): mai successo prima e dopo la parentesi genovese.

L’incontro con Gigi Delneri – in arrivo al Doria dopo un ottimo biennio a Bergamo – ha un che di particolare. Per due motivi: a) Delneri ha già incrociato Cassano e ha fallito nel gestirlo a Roma; b) Delneri in un anno riesce a entrare in una categoria a parte degli allenatori avuti da Cassano: quelli che hanno cambiato la considerazione che il barese aveva di loro. E non solo a livello caratteriale.

Quando arriva nell’estate 2009, Delneri deve adattare il suo 4-4-2 alla coppia d’attacco Cassano-Pazzini. A un certo punto, però, qualcosa s’inclina: Cassano finisce fuori dai titolari per scelta tecnica (sebbene si pensi a un litigio) e la sua cessione alla Fiorentina sembra cosa fatta, ma tutto salta all’ultimo. La Samp naviga bene senza Cassano e quando il 99 rientra, lui suggella una gara contro la Juve con un gol da 40 metri.

Il campionato si concluderà con la qualificazione al preliminare di Champions League e Cassano farà ammenda tecnica per la prima volta in vita sua: «Il mister ha fatto le sue scelte e io le ho accettate a malincuore: quando sono rientrato ho dimostrato di poter fare la differenza. All'inizio ero scettico (sulla nuova posizione, più vicina alla porta, ndr), ma poi ci siamo capiti: abbiamo fatto qualcosa di stratosferico».

Nel pieno della sua maturità calcistica, al 28enne Cassano riesce praticamente tutto. Il simbolo di questa completa e assoluta consapevolezza del suo talento è un gol che probabilmente pochi ricorderanno: una rete al Palermo in uno scialbo 1-1.


Se Cassano ha ormai massimizzato il controllo degli spazi (con alcuni passaggi filtranti da “Assist 101”), qui c’è tutto il talento di Cassano nell’utilizzare al massimo le sue risorse. Su di lui c’è il giovane Kjær, a cui rende 15 centimetri. Ma il 99 blucerchiato si avvicina quasi casualmente, sceglie la posizione giusta e usa quella forza nascosta che ha nella parte bassa del corpo (baricentro e delle gambe granitiche) per difendere la sua porzione di campo.

Il danese tenta un salto scomposto, ormai in posizione di debolezza, e cerca un fallo per un contatto troppo veniale. Nonostante Kjær, Cassano è riuscito a stoppare la palla in maniera sufficientemente adeguata: viste le condizioni del contatto, direi ottime. Punta la porta: vorrebbe la soluzione Pazzini, ma Bovo chiude qualunque spazio e allora attende che Sirigu vada giù. Quando vede che anche quest’opzione è preclusa, va con il colpo da biliardo già accennato in precedenza.

Finalmente Cassano ha tutto quello che vuole: un ambiente che lo idolatra in maniera assoluta, un gruppo che lo sostiene, un contesto che lo valorizza al massimo anche dal punto di vista tecnico. O almeno così sembra, fino a una mattina di fine ottobre dove il grado 10 delle “cassanate” viene raggiunto per danni e protagonisti.

9. Fiorentina-Inter 4-1, febbraio 2013 – Serie A 2012/13

Tutto crolla dopo una trasferta a Milano: la Samp ha strappato un punto contro l’Inter di Benitez e ritorna a Bogliasco per allenarsi. Cassano dovrebbe ritirare un premio a Sestri Levante, ma non vuole: scende in campo personalmente il presidente Riccardo Garrone, ma la situazione degenera tra i due e Cassano gli urla di tutto.

Il patron blucerchiato, in un moto di dignità e con un filo di scelleratezza economica (la Samp pagherà di tasca sua per mandarlo via), chiude a Cassano le porte della prima squadra e chiude all’arbitrato un’avventura di tre anni e mezzo. Quando si tratta di svincolati, il Galliani degli anni 2010 non perde tempo e si butta sul barese. Del resto, il Milan è in corsa per lo Scudetto e un rinforzo del genere fa comodo.

Da lì la carriera di Cassano è un roallercoaster emozionale, voluto dal giocatore per disfarsi continuamente dei fantasmi passati in vista di lidi più felici, salvo scoprire che tanto idilliaci non sono. Milano è il set di una sceneggiatura che inizia con un proclama tanto esagerato quanto destinato a rivelarsi falso: «Sono sicuro che qui sarà la mia ultima tappa: sopra il Milan c’è il cielo. È l’ultima occasione: se sbaglio, sono da manicomio».


Le cose procedono bene per un anno: Allegri gestisce Cassano, lo alterna con Pato, Robinho e Ibrahimovic. Lo stesso svedese si scomoda in qualche carezza mediatica: «Tevez? Mi manca Cassano, non Tevez. Con lui diventa tutto più facile: gioca da seconda punta e riesce a darti il pallone da posizione impossibile». La partenza col botto del 2011-12 (sette assist e tre gol) viene bloccata però da un problema al cuore.

Ci vogliono un’operazione e sei mesi di recupero per tornare in campo, giusto in tempo per conquistarsi la “10” dell’Italia a Euro 2012, dove Cassano forma un coppia bella e maledetta con Balotelli. Ma qualcosa in casa Milan non va: a sorpresa arriva uno scambio tutto milanese, con Pazzini in rossonero e Cassano all’Inter. A posteriori, una trattativa che non ha giovato a nessuno.

Altra presentazione, altro round di scuse (oltre al solito cielo): «Ho detto che se sbagliavo, sarei stato da manicomio, ma non ho sbagliato io… non c’entrano giocatori o allenatori, ma qualcuno più in alto. Non voglio dire neanche il nome (Galliani, ndr): devo ringraziare i tifosi e l’ambiente, ma lui no». Con il contratto in scadenza nel giugno 2014, il barese avrebbe voluto un rinnovo mai arrivato.

I primi tre mesi dell’Inter 2012-13 sono da sogno: la squadra vola, mostra un calcio divertente (più grazie ai suoi fuoriclasse che per una vera struttura di gioco) e si toglie lo sfizio di violare lo Juventus Stadium per 3-1. Lì c’è l’apice di Stramaccioni all’Inter, con il sogno che perde vigore nel girone di ritorno: un disastro da 19 punti in altrettante partite, che valgono il nono posto finale.

Il rapporto tra tecnico e Cassano – inizialmente ottimo, come dimostra una parodia dello stesso allenatore – si rovina verso marzo, complice un diverbio quasi finito alle mani. Il tentativo di ridimensionare quanto uscito dallo spogliatoio di Appiano Gentile è forse peggiore anche della lite in sé, ma l’unica notizia buona per Cassano è che non ha (ancora) perso il meglio del suo repertorio.


Prendiamo questo gol contro la Fiorentina: dicevamo sopra del Cassano da biliardo, ma qui l’attaccante tira fuori una discreta legnata dalla distanza in una partita ormai chiusa, ma utile per ricordarci come le possibilità di Cassano siano più di quelle che sembrano ormai conosciute.

Nonostante i ponti rasi al suolo a Milano e un’operazione al cuore, il 99 ha comunque collezionato un’altra annata da 15 assist in tutte le competizioni: è il segnale che l’attaccante può ancora esser utile, se saprà tenere a bada certi comportamenti e sarà inserito in un contesto a lui congeniale. E la chance arriva.

10. Chievo-Parma, 21 settembre 2014 – Serie A 2014/15

L’ultimo Cassano di alto livello si è visto in gialloblu. Stanco della Milano che non lo capisce (e forse le due società meneghine lo erano altrettanto di lui), Cassano fugge nella tranquilla Parma. Una piazza che per molti tratti – tra cui storia e ambiente – si può associare alla Samp, nonché per un gemellaggio che dura da molti anni.

Saranno solo delle coincidenze, ma Cassano torna quello visto a Genova. I suoi movimenti sono cambiati e avere 31 anni non è come averne 25, ma al Tardini incanta. Cambia anche un filo il suo modo di giocare, con FantAntonio più vicino alla porta e meno sul centro-sinistra: forse Cassano ha compreso che non ha più la stessa resistenza atletica di un tempo e deve adattarsi.

Il 2013-14 è un anno magico: il Parma finisce in Europa League (salvo poi vedersela revocare per la mancata licenza), Cassano segna 12 gol (di cui tre al Milan) e si guadagna il primo Mondiale della sua vita. Molto è dovuto anche al legame con Donadoni, uno degli allenatori che ha saputo gestire meglio il talento di Bari Vecchia.

La “zona Cassano” c’è sempre.

Dopo l’estate, tutto è cambiato. Le ultime due annate di Cassano sono state grigie, quasi incolori: i primi gol con il Parma, la decisione di lasciare il capoluogo emiliano di fronte alla confusione societaria, i sei mesi di stop, la voglia di tornare nella Genova blucerchiata prima stoppata e poi accettata. In realtà, il ritorno alla Samp è una manovra di Ferrero per recuperare credito dopo una precoce eliminazione in Europa League.

I contrasti con Zenga non hanno giovato: in fondo, l’Uomo Ragno non ha mai veramente voluto Cassano. Con Montella c’è stato qualche guizzo, ma si è visto come l’inattività forzata avesse condizionato la forma del 99, incapace degli scatti e delle accelerazioni di Parma. E così siamo arrivati all’epilogo finale, forse il più triste.


Titoli di coda

A oggi, Antonio Cassano è un giocatore della Samp solo pro-forma. La società ha fatto rimuovere la sua foto dal sito ufficiale e Ferrero sperava di potersi liberare di un asset usato prima come inganno mediatico per i tifosi e poi ostacolo da rimuovere. Il tutto è nato dopo l’ultimo derby, quando Cassano ha avuto un’accesa discussione con Antonio Romei (braccio destro di Ferrero, seppur assente nell’organigramma della società).

La società forse sperava nella possibilità di liberarsi facilmente di un 34enne con velleità di campo, ma Cassano è cambiato. Anche personalmente. Una volta avrebbe combinato una delle sue e se ne sarebbe andato. Oggi no. Intendiamoci, fa sempre di testa sua, ma in questa vicenda si è comportato in maniera diversa dal solito.

Un comportamento intravisto già a Parma, quando ha optato per la rescissione del suo contratto con questa motivazione: «Ci sto rimettendo quattro milioni di stipendio, ma non sono i soldi il problema. Non lo sono per me: la cosa brutta è che ci sono persone che guadagnano molto meno e non prendono un euro da sette mesi».

Invece di accettare una delle tante proposte arrivate sul suo tavolo durante quest’estate – Palermo, Pescara, Cina, Emirati, persino un posto da dirigente in blucerchiato – Cassano è rimasto coscientemente a Genova, anche con la prospettiva di rimanere fuori squadra. Il nuovo allenatore Giampaolo ha dato il benestare alla sua uscita, ma FantAntonio non la pensa alla stessa maniera: sembra disposto a rimanere a Bogliasco anche solo per allenarsi (almeno secondo quanto riferito dalla moglie, una sorta di social media manager del 99).


Non più di qualche mese fa, a febbraio, Cassano la pensava così: «Se sto bene, gioco altri due anni. Se invece non fossi in condizione o non mi divertissi più, lascio perdere». In mezzo però c’è la Samp, l’unico club che forse ha realmente amato nella sua vita. E una voglia di vivere a modo suo che non va mai via, anche quando non gli conviene.

Vengono mente ancora quelle note: «Mi piace scivolare fuori / da ogni calcolo / per riportarmi in riga / servirà un miracolo». E i miracoli non sono fatti per i titoli di coda.

Nessun commento:

Posta un commento